6 dicembre 2020 II Domenica di Avvento (B)
- On 6 december, 2020
LETTURE: Is 40,1-5.9-11; Sal 84; 2 Pt 3,8-14; Mc 1,1-8
Credo che tutti noi da bambini (e guarda un po’… continua a capitarci anche da adulti!) siamo rimasti affascinati dal funzionamento di un giocattolo, un oggetto, un particolare macchinario, così affascinati e impressionati… dal soccombere tutti, almeno una volta, alla tentazione di smontarlo, aprirlo, per vedere quello che c’era dentro. E così ci è capitato dinanzi un fenomeno particolare della natura o della vita.
In quelle occasioni abbiamo tempestato di domande i nostri genitori o i nostri maestri: la curiosità si è fatta ricerca e desiderio di conoscere e scoprire i delicati meccanismi che regolano il funzionamento delle cose. E dinanzi l’incalzare dei nostri interrogativi, ci è stato giustamente risposto che tutte le cose hanno i loro ingranaggi, le loro regole, hanno un inizio e una fine. Un anno ha un suo inizio e una sua fine, un giorno ha un suo inizio e una sua fine, e così un libro, un film, una musica, un concerto… la vita stessa ha un suo inizio e un suo termine. Ma fortunatamente, crescendo, ci siamo resi conto che questo era solo un lato della medaglia. Accanto a quei “maestri” che ci hanno mostrato e ci hanno aiutato a comprendere i sottili meccanismi ed equilibri delle cose, della natura e della vita, ognuno di noi ne ha incontrati altri: maestri di altra levatura, fatti di un’altra pasta. Sono stati quei maestri che, oltre a parlarci dell’origine, del funzionamento e della fine delle cose, ci hanno messo nel cuore una sottile e benedetta inquietudine: ci hanno aiutato a interrogarci sul fine delle cose e della vita, sul senso che in esse è celato e contenuto, rendendoci capaci di leggervi dentro al di la delle semplici apparenze.
Gli evangelisti, in qualche modo, appartengono a questo genere di uomini. Non a caso Marco – come abbiamo ascoltato poc’anzi – apre il suo racconto con queste parole: “Inizio del vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio”. Marco inizia a raccontare la vicenda storica dell’uomo Cristo Gesù per risvegliare il cuore dei suoi ascoltatori e accompagnarlo all’incontro con il vero volto di Dio, mostrandogli gradualmente, con gli occhi della fede, il senso e il fine di ogni cosa. Del resto lo sappiamo bene, e in diverse occasioni lo abbiamo sperimentato personalmente, la Parola di Dio ci ha realmente guidati ed introdotti nella comunione con il Signore. È importante ricordarci sempre che tutta la Parola di Dio è un messaggio di Dio all’uomo, un appello rivolto ad ogni uomo perché Lo conosca personalmente, s’incontri col Cristo, e viva sapendo leggere, attraverso di essa, ciò che nella vita e nelle cose è celato… non a caso parola in ebraico si dice dabar che significa: il fondo delle cose, ciò che in esse è nascosto.
Ecco, allora, che anche per noi – in questa II domenica di Avvento – si compie un nuovo inizio. Questo “tempo forte” ci è offerto perché, ancora una volta, il Signore desidera parlare al nostro cuore, desidera farci giungere il grido di speranza e di consolazione che abbiamo trovato sulle labbra del profeta Isaia nella I lettura: “Consolate, consolate il mio popolo… parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la sua schiavitù, è stata scontata la sua iniquità…”
Questo grido, però, è accompagnato da una esortazione. Ci viene detto:“Nel deserto preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio… allora si rivelerà la gloria del Signore e ogni uomo la vedrà…” Guardando alla storia del popolo ebraico, sappiamo che per Israele il deserto è stato il luogo della prova, ma al contempo il luogo dell’incontro con Dio. Il suo pellegrinarvi per 40 anni, sentendo talvolta l’assenza di Dio, gli ha permesso, come dice il libro del Deuteronomio, di “sapere quello che aveva nel cuore” (Dt 8). In quel silenzio Israele ha riconosciuto che fondamento della sua esistenza non erano semplicemente i beni materiali bensì la sua relazione con Dio!
Il deserto diventa così una via, un luogo dove l’amore e la libertà s’incontrano, si purificano e si irrobustiscono. Se riflettiamo con attenzione, ci rendiamo conto che il deserto segna quasi una sorta di passaggio obbligato per passare dall’IO a DIO. Quello che apparentemente sembra essere il luogo della privazione e dell’assenza, diventa il luogo per una rinnovata conoscenza di sé e del volto di Dio.
Chissà forse proprio questo chiedeva Giovanni Battista ai suoi contemporanei. Il loro andare nel deserto per farsi battezzare era il segno più evidente con cui manifestare il loro desiderio di conversione, il loro modo per preparare la strada alla venuta del Signore, il Messia annunciato ed atteso.
Oggi potremo chiederci quali sono i nostri deserti e come li viviamo. La memoria di un popolo, che ha saputo leggervi la presenza a volte discreta e a volte forte del suo Dio, potrebbe aiutarci a com-prendere (prendere-con… abbracciare!) con occhi nuovi il nostro quotidiano.
Lo scorrere dei giorni e delle ore sembra essere sempre lo stesso: la scuola, gli amici, il lavoro, la parrocchia, i rapporti in famiglia, talvolta possono assumere i tratti dell’abitudine e dello scontato. Ma non sono forse proprio quelli i luoghi e le occasioni che ci sono date per incontrare il Signore e per incarnare (mettere in pratica) il suo vangelo? La conversione a cui siamo chiamati non ci chiede di andare tanto lontano.
Come dice la parola stessa, conversione (in greco metanoia = cambiare testa, mutare direzione) significa orientare la vita mutando direzione, cambiando punto di vista. E questo mutamento è possibile se apriamo il cuore e la mente all’azione dello Spirito; oggi è bene ricordarci che questo Spirito ci è stato dato in dono il giorno del nostro battessimo, confermato il giorno della nostra cresima, e chiede solo di essere ascoltato e assecondato… al resto provvede lui! Impariamo a fidarci un po’ di più della sua azione e presenza nella nostra vita, vedremo nascere cose nuove e inaspettate.
Un’ultima parola la spenderei sulla figura del Battista: l’uomo dall’indice puntato! Non pochi sono i dipinti in cui Giovanni, attorniato dai suoi discepoli, è raffigurato nell’atto di indicare Gesù come “l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo” (Gv 1, 29).
È bello pensare che nel mondo ci sono ancora uomini e donne come il Battista, uomini e donne che puntano il loro indice non per accusare e recriminare, bensì solo per mostrarci che c’è una via che vince ogni male e sconfigge ogni peccato: questa via è Cristo.
Il Natale, verso cui ci stiamo incamminando, ci chiede di seguirla (…sarebbe più giusto dire seguirlo!): partendo da Nazaret, passando poi per Betlemme, per la Galilea e la Giudea, giungeremo a Gerusalemme dove quel grido di consolazione, che abbiamo ascoltato all’inizio della nostra celebrazione, non sarà più una semplice profezia ma troverà il suo compimento perché nella croce di Cristo, veramente, ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!
Il Signore ci aiuti a compiere questa via fino alla fine, durante questo nuovo anno liturgico.