FESTA PRESENTAZIONE AL TEMPIO (C)
- On 6 februari, 2022
La quinta domenica del tempo ordinario accoglie la memoria della Presentazione di Gesù al tempio. L’evangelista Luca, nella narrazione, si collega alla legge mosaica secondo la quale la madre, quaranta giorni dopo la nascita del primogenito, doveva presentarlo al tempio e offrire in sacrificio al Signore, per la sua purificazione.
Di questa festa si ha memoria già nei primi secoli a Gerusalemme, era chiamata il ”Solenne incontro” una processione per le strade della città ricordava il viaggio della Santa Famiglia da Betlemme a Gerusalemme con Gesù appena nato. Ancora oggi la liturgia prevede la processione, cui, si è aggiunta, dal X secolo, anche la benedizione delle candele, che ha dato il nome popolare di ”candelora” a questa festa.
La luce che viene consegnata nelle nostre mani ci unisce a Simeone ed Anna che accolgono il Bambino, ”luce che illumina le genti”.
La festa della presentazione ci ricorda che, dopo i giorni della loro purificazione rituale, i genitori portarono il neonato Gesù a Gerusalemme per presentarlo al Signore. Solitamente i commenti vanno a segnalare come la famiglia di Nazaret fosse devota, osservante della ritualità prescritta dalla legge di Mosè. Ed è vero. Questo però non ci esime dal pensare che a volte anche i riti potrebbero correre il rischio di cedere a contaminazioni legate a visioni culturali del tempo. Fare obbligo a una donna di purificarsi, perché generando si sarebbe contaminata con il sangue, oggi ci lascia molto perplessi: oggi il parto lo leggiamo nel segno di una benedizione, non c’è nulla da purificare. Dico questo per scrostare il messaggio da ogni fraintendimento, nel tentativo di riportare alla sua bellezza il gesto di presentare a Dio un bambino. Che è bello così, semplicemente così. E’ bello il presentare.
Ma nel racconto di Luca – penso che ve ne siate accorti – c’è qualcosa di sorprendente. Luca racconta che i genitori erano saliti al tempio per un rito – e nulla ci distoglie dal pensare che l’abbiano celebrato – ma nel nostro brano non se ne fa parola: non c’è parola né di sacerdoti che impongono mani, né di gesti rituali di purificazione. E’ come se Luca fosse attratto da altro. L’attenzione è tutta rivolta nel racconto a un luogo defilato, ”fuori dalle file”: siamo nel tempio, ma la telecamera va a sorprendere – perdonate se mi esprimo così – un altro rito. Che non è quello ufficiale.
Non dice parola sulla celebrazione ufficiale, là dove i bambini venivano presentati, uno dopo l’altro per la benedizione, e così le madri, una dopo l’altra per la purificazione. Tutto si svolge secondo le norme canoniche, ma, pensate, senza il riconoscimento del nuovo che sta accadendo.
Il bambino Gesù – diciamocelo – non viene riconosciuto. Mancano occhi per riconoscerlo. Ed è, pensate, quello che potrebbe accadere anche a noi oggi. Celebrare riti senza sbavature, una sequenza di gesti impeccabili, ma senza avvistamento. Senza avvistamenti, senza emozioni. Luca non spende parole per l’ufficialità. Racconta invece una storia a lato: nel tempio ma a lato.
Racconta un incontro. In piena luce c’è il vecchio Simeone, l’anziana Anna, un uomo, una donna, un bambino… e l’incontro.
Pensate, nelle chiese d’Oriente, dove si dà molto rilievo all’episodio della Presentazione, la festa ha nome di ”incontro”. Sì, vive nel nostro brano la sorpresa, la bellezza di un incontro. Non con delle mura, ma tra persone, vive. Le fa vive il desiderio.
Guardate che senza desideri, non siamo per niente vivi. E a metterci in viaggio è il desiderio. Si incrociano due viaggi, si incrociano due desideri.
La fede non dovrebbe vivere di viaggi e di desideri? Uno è il viaggio di Dio, quel bambino, Gesù, ha fatto un viaggio dal cielo alla terra. A incrociarlo è il viaggio di Simeone che va verso il tempio e il viaggio di Anna che non è una statua immobile nel tempio, lei serviva notte e giorno nel tempio e pur vecchia, appena viene a conoscenza della buona notizia non rimane immobile, va a dirla a tutti. I viaggi del desiderio, che intravediamo stupendamente nelle parole del vecchio Simeone: ”Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele”. I miei occhi hanno visto. Essere vecchi e avere occhi che desiderano ancora vedere. E sempre inquieti finché vedranno il volto del Signore.
Può sembrare strano che siano due vecchi a riconoscerlo, mossi dai sogni e mossi dallo Spirito. Due cose che vanno insieme: sogni e spirito. Non leggiamo forse nel libro del profeta Gioele: ”Io effonderò il mio spirito/ sopra ogni uomo/ e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie/ i vostri anziani faranno sogni/ i vostri giovani avranno visioni”? (Gl 3,1).
Spesso purtroppo si è presentata la religione come il contenimento del desiderio. No, al contrario è la dilatazione del desiderio, è il posto della profezia, dei sogni, delle visioni.
Se spento è il desiderio non c’è incontro vero né con Dio né con nessuno. E’ noia, esiste anche una noia del bene, dell’amore. La mancanza di desiderio fa la morte del bene, la morte dell’amore.
Vorrei da ultimo rilevare nel racconto un dettaglio, che penso non sia solo dettaglio. Il rito a lato, celebrato da Simeone con una benedizione e rivissuto da Anna con un annuncio spontaneo, è officiato – e anche questa è una sorpresa – da un uomo e una donna che non appartengono a una casta sacerdotale, sono dei laici: benedicono e annunciano. Poi col passare del tempo il benedire e l’annunciare, quasi per un sequestro, furono riservati al clero. Venne poi il Concilio Vaticano II e fu una restituzione. Ebbene la storia di Simeone ed Anna sembrano ricordare che, in modalità diverse, benedire e annunciare appartiene a tutto il popolo di Dio, a ciascuno di noi.
Nella memoria mi si affacciano tempi in cui, quando nasceva un bambino, padri e madri ne segnavano con una croce la fronte o i tempi in cui, quando un figlio e una figlia uscivano di casa per sposarsi, a benedirli erano i genitori. Ed era come se li colmassero di luce. Riconoscere la luce di Gesù come fa Simone e portarla ad ogni uomo e donna come fa Anna, non con trattati teologici ma nella spontaneità del linguaggio, tocca a noi oggi. A ciascuno di noi. Attingi la luce e portala sino a far vibrare ogni volto. Portala.
Questa festa era chiamata un tempo ”candelora”. Per me rimane, ancora oggi, colmo di suggestione il momento in cui ognuno nella celebrazione ha nelle mani una piccola candela e ci si passa l’un l’altro l’accensione e la chiesa diventa uno sciame di luci.
Ci rimanga negli occhi questo passare di luci, non importa se piccole, fanno la bellezza del mondo. E’ riverbero sui volti, è riverbero sul mondo.