XXIX DOMENICA PER ANNUM (A)
- On 22 oktober, 2023
«Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». Gesù vuole disinnescare una sintesi pericolosa: Cesare non è Dio. A Cesare vadano le cose, a Dio le persone. Cesare non ha diritto di vita e di morte sulle persone, non ha il diritto di violare la loro coscienza, non può impadronirsi della loro libertà. A Cesare non spetta il cuore, la mente, l’anima. Queste spettano a Dio solo. A ogni potere umano è detto: non appropriarti dell’uomo. L’uomo è cosa di un Altro, è cosa di Dio.
La bella notizia di questa domenica? Noi siamo di Dio, pienamente liberi di essere noi stessi.
Dio si fida delle nostre libertà e delle nostre capacità di prenderci cura del bene comune.
Mentre scrivo la mia riflessione sulla Parola della XXIX domenica del tempo Ordinario i pensieri non fanno altro che spostarsi su altri fronti, su altri confini, dove armi, violenza, disumanità stanno seminando morte. E le domande continuano a frullare in testa: cosa dice oggi Dio ai popoli che lo adorano come unico Dio? Quale spazio per Dio è rimasto nelle nostre vite, nelle nostre società, nelle nostre scelte.
I figli di Dio sono costruttori di pace, i figli dell’unico Dio che noi, figli di Abramo adoriamo, sono sempre dalla parte della pace, la costruiscono pur con fatica, ma non la barattano mai con altro.
I figli di Giacobbe, i figli di Ismaele, i discepoli della Via (ebrei, musulmani e cristiani) dovrebbero avere ogni giorno, in ogni singolo istante, un unico obiettivo: seminare pace, essere artigiani di pace, fabbricatori di pace, ingegneri di pace, architetti di pace. Donne e uomini che con la determinazione della speranza e la fatica della carità scelgono di costruire la pace sulla roccia di scelte coerenti, giuste, umane.
Questa pagina di Vangelo dovrebbe bruciarci dentro ogni volta che interpelliamo la parola di Dio, partecipiamo all’eucaristia e poi seminiamo zizzania, vendetta, odio, separazione, soprusi, ingiustizie. Se attorno a noi la violenza imperversa, se tanti nostri adolescenti tentano di uccidersi, se molti tra noi sono stremati dalla stanchezza dell’impotenza, se il mondo si sta dividendo pericolosamente in due blocchi umani in lotta tra loro, se ci sono famiglie che non accettano che i propri ragazzi vadano a scuola con coetanei stranieri, se le nostre società non riescono più a essere incubatrici di umanità… E se le nostre vite nonostante tutto continuano imperterrite come se nulla fosse tra video di tik tok, scaramucce, pretese di bassa lega… forse allora dovremmo chiederci che cosa abbiamo davvero nel cuore quando ci avviciniamo a Dio. Che cosa abbiamo nel cuore quando rivolgiamo a lui la nostra preghiera?
Gesù di Nazaret come vorrebbe che comprendessimo oggi quel: «Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio»? Se riusciamo a giustificare guerre, violenze… se la difesa del nostro popolo ci rende disumani, se la paura dell’altro ci costringe a trasformare i mattoni per costruire la pace in pietre per lapidare lo sconosciuto… allora forse non abbiamo infangato la volontà di Dio con gli orizzonti di Cesare?
Ridiamo a Dio ciò che è suo. Ridiamogli noi stessi e la nostra possibilità di essere a sua immagine e somiglianza, rendiamolo ancora Signore delle nostre vite, centro attorno a cui ruotano le scelte che operiamo.
In Dio l’oriente e l’occidente possono ancora unirsi.
In Dio l’oriente e l’occidente possono ancora costruire ponti.
In Dio le donne e gli uomini di buona volontà, in oriente e in occidente, possono ancora sentirsi fratelli.
Non è forse questo l’essere figli di un unico padre nella fede?
Diamo a Cesare ciò che è di Cesare, ma non chiudiamo Dio nel comodo e rassicurante spazio di tabernacoli, altari, sinagoghe, moschee. Ci vuole figlie e figli, capaci di benedizione.
Nei prossimi giorni, iniziamo a seminare pace in noi: sostituiamo i pensieri negativi con benedizioni, i desideri di vendetta con benedizioni, la voglia di chiusura con benedizioni.
Ripetiamo come un ritornello continuo: «Benedici, Signore, … (e facciamo il nome della persona o realtà con cui siamo in guerra)». «Benedici, Signore, … (e facciamo il nome di popoli, nazioni, governanti che consideriamo nemici)».
«Riprendiamo per mano la pace», e diventiamone artigiani: questo siamo chiamati a rendere a Dio oggi.