XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (C)
- On 17 augusti, 2025
Siamo nel cuore dell’estate, momento conosciuto con il termine di “ferragosto” (ferie/riposo di Ottaviano Augusto, primo imperatore romano da cui prende il nome il mese corrente. Siamo nel 18 a.C.). E seppur il calendario ci porti a pensare a questo tempo come il momento dello svago per eccellenza, la liturgia non cessa di educarci alle cose grandi della vita, quasi a suggerirci che ogni tempo della vita chiede di non perdere di vista il perché ci si è messi in viaggio e il verso dove ci stiamo incamminando.
Un cammino di semplificazione per imparare a puntare a ciò che conta, all’essenziale: vivere con Dio e per Dio. Perché sarà questa consapevolezza ad aiutare ad affrontare smarrimenti e fragilità, lotte e contrarietà, come ci ricorda il profeta Geremia: “Si metta a morte Geremia, perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città…”.
Ma chi confida nel Signore – come Geremia – non resta confuso, come fanno bene capire le parole del salmo: “Ho sperato nel Signore ed egli su di me si è chinato… Io sono povero e bisognoso: di me ha cura il Signore”. Ed è quanto fa capire il Signore Gesù nel vangelo: “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!”
Il testo del vangelo si apre con una frase dura, lapidaria e incomprensibile di primo acchito. Il fuoco che Gesù è venuto a portare è quello di Dio, è la vita nuova. Un fuoco che verrà acceso solo nel momento in cui Gesù stesso si lascerà immergere nel battesimo di sangue (la crocifissione) per tirare fuori l’umanità dalla morte.
Nell’Antico Testamento, l’immagine del fuoco è la presenza stessa di Dio. Pensiamo all’uscita di Israele dall’Egitto: il popolo in cammino era guidato da Dio stesso, che camminava alla sua testa. E il popolo lo poteva vedere come una colonna di fuoco, durante la notte, e come una nube durante il giorno (Es 13, 21s).
Il fuoco che Gesù è venuto a portare è quello dell’amore: un fuoco che riscalda, che rassicura, che illumina, che purifica. In questo fuoco possiamo vedere il simbolo dello Spirito Santo, annunciato da Giovanni Battista come forza e presenza: “battesimo in Spirito Santo e fuoco” (cfr Lc 3,16).
È lo stesso fuoco che scende nel Cenacolo sui discepoli e sulla beata Vergine Maria (*cfr At 2,1-11*). Ma questo dono non potrà essere dato finché Gesù non passa per il battesimo di fuoco, la passione e morte in croce: “Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici” (*Gv 15,12-17*).
Ecco il desiderio e il timore di Gesù, affinché questo avvenga presto: “Come sono angosciato finché non sia compiuto”. Questo fuoco d’amore che Gesù è venuto a portare in terra dovrà ardere nei cuori per poter accendere il mondo intero, reagendo alle contrarietà del mondo stesso: «Mi dicevo: “Non penserò più a Lui, non parlerò più in suo nome!”. Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (Ger 20,9).
La paura va vinta proprio con la forza di questo fuoco, come c’insegnano anche i due discepoli di Emmaus: “Non ci ardeva il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino?… e partirono senza indugio verso Gerusalemme” (Lc 24,32).
È questo fuoco d’amore che infonde coraggio e rende capaci di tornare sui propri passi, di affrontare le contrarietà della vita. Ecco perché è importante tornare sempre al momento “del primo amore”, a quella scintilla che ha acceso la gioia della vita.
È quel momento primordiale, è in quell’innamoramento della prima ora che troviamo e troveremo sempre la ragione della nostra fede, del nostro amore per Lui, del nostro stare dietro a Lui. Si tratta di recuperare la fiamma viva d’amore che Dio ha acceso in noi, e che ora si trova sotto la cenere dei nostri sensi di colpa, della nostra stanchezza, delle nostre debolezze, della nostra sfiducia.
Non badiamo alla cenere, torniamo alla fiamma viva di Gesù! La “fiamma viva d’amore” chiede di essere alimentata dalla preghiera, quel parlare a tu per Tu con l’Amico Dio, confidandogli ogni giorno le gioie e le speranze, le debolezze e i sogni. E poi i sacramenti: dalla riconciliazione all’eucaristia, solo per citarne alcuni.
Sapendo che Dio è venuto a portare la sua pace che non dà pace! “Pensate che sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre…”.
Anche queste parole appaiono paradossali nella bocca di Gesù. Di solito noi pensiamo che Lui sia colui che mette tutto a posto, ma non è così. La pace che Gesù è venuto a portare non è quell’esperienza sdolcinata alla quale siamo spesso abituati.
La pace è Gesù stesso: un dono che chiede di essere accolto ma che porta in sé anche la libertà di essere rifiutato. Da qui nascono le incomprensioni, le fratture. Accogliere Gesù è accogliere il suo fuoco d’amore che crea, illumina, brucia, purifica.
Quanto oggi Gesù c’insegna, dunque, è che solo l’aver questo fuoco acceso in noi renderà capaci di affrontare la vita anche con le sue contrarietà, e questo fuoco chiede di essere alimentato nella preghiera, nei sacramenti… custodendolo dai venti contrari che puntano solo a farlo spegnere.
Perché ieri come oggi i profeti, coloro che svelano la verità, danno fastidio.