XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (C)
- On 28 september, 2025
«È lecita la felicità? O solo una solitudine tristezza vita di castighi e di sventure può aprirti le porte del paradiso?». La risposta a queste domande la potremmo trarre direttamente da quanto, nella seconda lettura, l’apostolo Paolo consiglia a Timoteo: «Tu, uomo di Dio, tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza». Tendere a questo vuol dire rendere possibile la felicità per tutti! Non può esistere felicità solo per alcuni, e a scapito di altri. È questo ciò che la nostra fede ci chiede di vivere e di scegliere.
Oggi ricorre la 11 Giornata del Migrante e del Rifugiato. Si celebra oggi il Giubileo dei Catechisti, e noi oggi daremo il mandato missionario ai nostri catechisti.
Leggo le letture di questa XXVI domenica del Tempo Ordinario e non posso non pensarci: viviamo come se fosse sempre oggi.
Il cuore ha sobbalzato leggendo: «Guai agli spensierati di Sion». È vero che il profeta Amos non distribuisce troppe carezze, ma pensare alla spensieratezza come a una colpa in sé mi sembra davvero un po’ troppo.
Poi però il Vangelo dà concretezza a questo atteggiamento. E la spensieratezza di chi vive tranquillamente la propria vita, di chi mangia, canta, beve, ama senza occuparsi del mondo attorno diventa in realtà il volto di un uomo ricco che pur di garantire a se stesso una vita serena e senza troppi problemi sceglie di non vedere quello che sta davanti ai suoi occhi, alla porta della sua casa. Ed è questo ciò verso cui il profeta si scaglia.
Rendere il mondo invisibile ai nostri occhi, far sì che l’altro ci stia davanti senza esistere, vivere facendo di noi stessi l’unico centro e l’unico orizzonte: è questo ciò che ci rende poveri e colpevoli.
Poveri, perché una vita senza l’altro, senza il mondo, senza un oltre me stesso è una vita condannata alla sterilità, solo falsamente ricca, e solo scioccamente tranquilla.
Colpevoli, perché ognuno di noi sceglie di tirarsi fuori dal mondo per paura o per comodità.
Tutti noi possiamo sempre scegliere fino a che punto scoprire il nome di Lazzaro e che cosa condividere con lui.
È l’altro che con il suo nome… e solo con quello ha la capacità di mettere dei confini al nostro eterno oggi, aprendolo a una prospettiva di futuro. È l’altro con la sua presenza e il suo volto a riconsegnarci alla verità della nostra vita e all’oltre della nostra storia.
Noi tendiamo e credere (o a immaginare) che il nostro oggi, soprattutto se buono (o anche se accettabile) sia per sempre.
Rimuoviamo tutto ciò a cui non possiamo dare un confine, inclusa l’eternità. E invece aprendoci all’altro, a quel Lazzaro di cui solo i cani sembrano accorgersi, potremo dare un senso e un futuro vero alla nostra esistenza.