XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (A)
- On 4 oktober, 2020
LETTURE: Is 5,1-7; Sal 79; Fil 4,6-9; Mt 21,33-43
Di nuovo la vigna. Ancora. Per due domeniche la vigna è stata rivelatrice della misericordia e della lungimiranza di Dio.
Nel vangelo di oggi, invece, la vigna è protagonista della parabola cupa e urticante del fallimento di Dio, vorrei dire del dolore di Dio.
E’ una chiave di lettura della storia e della vita questo sconcertante racconto. A me succede ogni tanto, forse addirittura spesso, specialmente quando faccio uno scontro frontale con la vita; si tratta – normalmente – di persone cui voglio bene o anche semplici persone incontrate qui in parrocchia: mi parlano dei loro problemi, con sofferenze, alle volte, degne di un romanzo.
E’ allora che avverto tutta l’impotenza, la fragilità delle parole usurate dal tempo e dal pietismo, e sento forte la domanda del senso, e mi chiedo: perché, Signore? Dove trovare una risposta autentica, non solazzevole, né sbrigativa? Davanti al grande dolore del mondo che viviamo in questo tempo di Covid, al non senso dei bambini che saltano sulle mine antiuomo, agli inquietanti venti di guerra, davanti al grande mistero che è (e resta) ciascuno di noi, sentiamo forte il grido di senso. Certo: qualcuno evita di farsi domande, fugge, semplicemente, cercando di non rispondere mai.
Ma il dolore di Dio, questo sì mi sconcerta. Gesù parla (me lo vedo), sussurra quasi, lo sguardo abbassato, la voce rotta dall’emozione: che fare? Che farò? La storia dell’umanità, ci svela Gesù, è una storia d’amore in crisi, di un innamorato passionale – Dio – e di una sposa tiepida e opportunista: l’umanità. Quanta dignità in questo padrone che prepara con cura e amore la vigna da dare in affitto, leggete poi dell’arroganza idiota di questi affittavoli che pensano – uccidendo il figlio del padrone – di diventare eredi.
Immagine dell’umanità che non riconosce il proprio Creatore, l’uomo non riconosce il suo Creatore, si sostituisce a lui: ecco il peccato di fondo, la tragica fragilità dell’uomo, credere di essere autosufficiente, senza dover rendere conto, misconoscere il proprio limite.
Ed è quello che accade ancora oggi, all’umanità che invece di orgogliosamente realizzarsi nel dare frutti, pensa a come fregare il proprietario, che nega l’evidenza, che si crede onnipotente. Che fare? Vedete: il problema di fondo, amici, è che all’uomo un Dio così proprio non importa, non lo vuole. Preferiamo un Dio scostante e impettito, forse, onnipotente e freddo da placare o convincere. Che fare?
Quasi mi commuove questo Dio onnipotente come fermato dalla nostra reazione, come un genitore ferito, un amico che si scopre improvvisamente tradito. Che fare? Questo Dio sconsiderato che rischia la vita del figlio, illuso di suscitare rispetto nell’uomo, se non giustizia. E invece no, anche questo gesto è stravolto, incompreso. Gesù non sa più cosa dire, ora, aspetta una risposta dagli affittavoli che – ingenuamente – nell’ottusità del loro cuore, non capiscono che proprio di loro si sta parlando. E inveiscono: morte, punizione, vendetta, maniere forti! Già, replica Gesù, già.
Ma così non sarà, così non avverrà. Solo l’ultima parte del consiglio si avvererà: ad altri verrà data la vigna, a noi. Gesù invece, non si vendicherà, ma si lascerà spazzare via piuttosto che usare violenza. A noi ora, amici. Questa è la Storia, questa è – oggi come allora – la morale della favola. L’uomo che si dimentica di essere vignaiolo, di guardare altrove, di vivere nella gratitudine del dono della vita, dello scoprire il proprio destino e la propria chiamata viene accecato dalla propria violenza e dalla propria arroganza, semplicemente.
A noi – non più affittavoli ma coeredi – il compito di vivere nella gioia del coltivare la vigna di Dio, sopportando con pazienza evangelica la violenza nel nostro e nel cuore degli altri, opponendovi, come esorta san Paolo, ”tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro e amabile”