XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (A)
- On 27 september, 2020
LETTURE: 1 Cor 1,26-31; Sal 111; Mt 25,31-46
”Come Gesù Cristo, costretti a fuggire”: è questo il titolo scelto dal Papa per il Messaggio della 106a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato che celebriamo quest’oggi. La Parola di Dio che ci viene offerta nella liturgia di questa domenica XXXVI del tempo ordinario, Giornata dedicata ai milioni di sfollati interni nel mondo, presenta degli elementi importanti di riflessione per il cammino dei cristiani in un mondo caratterizzato dalla mobilità umana. Non basta rispondere sì all’appello del padrone della vigna (Vangelo) perché la giustizia non è solo un ideale, una dichiarazione di intenti, ma richiede un concreto scendere in campo, dei segni tangibili che dimostrano che si sta realmente lavorando nella vigna del Signore.
Domenica scorsa trovandomi a celebrare la Messa in un altra località qualcuno mi diceva che questo Gesù non ha peli sulla lingua. Avevo fatto notare nella mia omelia come l’amore non si riduce a sdolcinerie ma si attua con un servizio alla verità che alle volte può essere scomodo.
Oggi potremmo chiamare la parabola che ci narra Gesù come la parabola del dire e del fare. Gesù racconta di quei due figli che cambiano idea: uno dice ”sì” ma non fa’, l’altro dice ”no” ma ci ripensa e fa. Notate come la fede cristiana ha una caratteristica che la rende unica. Il fatto di avere un Dio incarnato costringe la nostra spiritualità ad incarnarsi, obbliga la nostra preghiera a diventare azione, porta i nostri discorsi alla verifica continua nelle azioni. Come sarebbe più comoda una fede che resta nei cieli! Una religione che si esaurisce nella preghiera e nel culto.
Invece Gesù desidera che lo imitiamo nelle parole e nelle opere. Che la nostra fede conservi questo doppio polmone di incontro nell’intimo e di servizio nella vita. E allora, anche se ci imbarazza o ci disturba, dobbiamo chiedercelo: quanto influisce la nostra fede sulla nostra vita? Quanti gesti sono cambiati da quando il Vangelo è entrato nella mia vita? E’ una riflessione che ci obbliga ad essere estremamente concreti, sinceri con noi stessi.
E perfino a due livelli: il primo riconoscendo che credere in Dio non significa fare un bel ragionamento o un bell’atto sentimentale chiuso in se stesso. Allora io mi chiedo: è possibile essere ”credenti non praticanti”? Cioé credere nel Dio di Gesù Cristo e non desiderare di conoscerlo di condividerlo, di celebrarlo? Un po’ come dire: ”sono innamorato non praticante”… ma che significa? Il ”dire” la nostra fede significa renderla presenza concreta nella comunità.
E c’è un secondo livello di riflessione che è lo spazio che la nostra fede, il nostro culto occupa nella nostra vita. Corriamo il rischio di vivere a compartimenti stagni: tiriamo fuori Dio cinque minuti al giorno, un’ora a settimana, finita la benedizione della Messa, amen, la vita ci aspetta fuori, Dio lo teniamo nei tabernacoli…
Sapete che vi dico: ho paura quando celebriamo il Dio della vita e fuori compiamo gesti di morte. Ho paura quando cantiamo l’amore che ci ha riuniti e fuori stoniamo con il nostro egoismo.
Tremo all’idea di radunare una comunità di fratelli e sorelle che fuori dalla chiesa neppure si salutano. No, amici, o la fede “detta” è vissuta, o siamo ipocriti. Fate però attenzione! Questo è un obiettivo, una tensione da realizzare. Ricercare in noi e nelle comunità una perfezione asettica non è evangelico! No: il Signore chiede l’autenticità, apprezza di più il figlio che dice: ”Non ce la faccio, non ne ho voglia” e poi si sforza rispetto all’altro che dice ”sì” e non si schioda.
Ecco perchè Gesù loda quei pubblicani e quelle prostitute che hanno accolto la Parola calandola nella loro vita, facendola diventare conversione, cambiamento, ricerca. E accusa i giusti, le persone “per bene”, che non fanno calare l’annuncio del Vangelo nella concretezza della loro vita.
Chiediamo oggi in questa Eucaristia che insieme stiamo celebrando, che il Signore ci spinga all’autenticità, ci doni di non fermarci alle parole ma, con semplicità e coraggio, ci conceda di gridare il Vangelo con la nostra vita.
Solo così potremo diventare figli di quel Dio che continuamente cerca l’uomo per svelargli il suo amore.