IUBILAEUM MMXXV
- On 1 december, 2024
LETTERA PASTORALE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE NORDICA PER L’ANNO GIUBILARE 2025
Il nostro Santo Padre Papa Francesco ha dichiarato il 2025 Anno Giubilare. È un dono meraviglioso per la Chiesa, anzi per il mondo intero. La celebrazione dei Giubilei ha origine nei tempi biblici. La prima volta che leggiamo di una celebrazione giubilare è nel Libro del Levitico – che non è uno dei libri della Bibbia a cui di solito ci rivolgiamo per una lettura spirituale. Ricordiamo quindi cosa disse il Signore a Mosè sul Monte Sinai a proposito del Giubileo.
Un anno giubilare doveva aver luogo ogni cinquant’anni, dopo “sette settimane di anni”. La sua funzione era quella di dare a tutti gli abitanti della Terra una possibilità regolare e prevedibile di riportare l’equilibrio della vita e della società a un equilibrio più giusto ed equo; di liberare i prigionieri, di rimettere i debiti e di avere un periodo di riposo comunitario. Un Giubileo sarebbe come tornare a casa: “Nell’anno del Giubileo ognuno riavrà la sua proprietà”. (Levitico 25:13).
La posta in gioco non è solo la nostalgia sentimentale del vecchio falò. Si tratta della natura stessa di ciò che possediamo e delle nostre pretese su di esso. Il Levitico riconosce le complesse dinamiche della collettività umana. La terra può passare di mano attraverso varie transazioni. Qualcuno vive in un luogo per un certo periodo di tempo, poi vende la terra o ne viene allontanato; qualcun altro acquisisce la terra tramite acquisto o annessione. Nascono conflitti. Qualcuno grida da sinistra: “Questa terra è mia!”. Qualcun altro grida da destra: “Non è possibile! È mia!”. Questo è il tipo di situazione a cui si riferisce il testo biblico. La Bibbia pone fine alla discussione su diritti e rivendicazioni. “La terra”, dice il Signore, ‘non deve essere venduta per sempre, perché la terra è mia e voi siete stranieri e soggiornanti presso di me’ (Esodo 25:23).
Considerato lo stato di incertezza in cui versa il nostro mondo in questo momento, si tratta di una prospettiva importante. Una società sostenibile, degna di donne e uomini liberi, che segue la volontà di Dio per l’umanità, non può basarsi solo sulle rivendicazioni di proprietà. Affinché una società fiorisca, gli individui al suo interno devono prima diventare un popolo, legato da un’alleanza di giustizia coerente con la legge naturale e divinamente ispirata. In definitiva, come Abramo, nostro padre nella fede, siamo tutti stranieri e forestieri nella terra (cfr. Genesi 23,4). Dobbiamo imparare a essere visitatori degni, giusti e ospitali, consapevoli che, ovunque sulla terra viviamo, la terra rimane del Signore e che saremo chiamati a rispondere della nostra gestione politica, religiosa ed ecologica di essa.
Dopo aver stabilito il principio della proprietà della terra, il Levitico passa ad applicare più profondamente la logica del Giubileo alle relazioni umane. Qui la Bibbia non si fa illusioni. Canta “quanto è bello e piacevole per i fratelli stare insieme” (Sal 133,1), pur riconoscendo che tale unità è difficile da raggiungere. L’unità va cercata, a volte a costo di grandi sofferenze. Non dimentichiamo che la storia dell’umanità al di fuori dall’Eden inizia con il fratricidio (cfr. Genesi 4, 1-8). Non è naturale per gli esseri umani, finché la nostra natura è ferita e accecata dal peccato, vivere pacificamente insieme. Per questo le Scritture presentano la pace come una realtà dinamica e viva che dobbiamo perseguire abbandonando il male e facendo il bene (cfr. Sal 34,15).
Nelle vicissitudini della vita, può accadere che un essere umano sia sottomesso o subordinato a un altro essere umano, ad esempio a causa di una colpa o di una prigionia. La persona che ha in mano la cambiale o la chiave della prigione può allora provare un inebriante senso di potere, come se anche le persone che dipendono da lui gli appartenessero e potessero essere trattate a suo piacimento. Il Levitico ci ricorda che si tratta di un’illusione perversa. Anche “se tuo fratello diventa insolvente e deve vendersi a te”, ci viene detto, “non devi trattarlo come uno schiavo” (Levitico 25:39). Nessun essere umano può arrogarsi il diritto di possedere un altro a qualsiasi condizione. Gli uomini e le donne a volte fanno cose stupide, persino malvagie. Possono essere costretti con mezzi legali a pagare ciò che devono; possono essere puniti o sottoposti a restrizioni. Ma rimangono sovrani. Inoltre, il semplice fatto che siano esseri umani, creati a immagine di Dio, significa che sono portatori di un’enorme dignità potenziale che siamo obbligati a riconoscere e ad affermare. Il Levitico rifiuta l’idea che alcune persone siano per natura inferiori ad altre quando chiede che tutti gli schiavi saranno liberati durante il Giubileo. “Perché sono miei schiavi”, dice il Signore, ‘che ho fatto uscire dall’Egitto’ e ho riscattato (Esodo 25,42). Solo Dio ha il diritto di dirci: ‘Tu sei mio’ (cfr. Isaia 43,1). Solo Lui, onnipotente e misericordioso, può permetterci di sperimentare la totale dipendenza come perfetta libertà.
L’ideale che la Bibbia ci presenta non si realizza nel mondo in cui viviamo. È qualcosa che noi, come cristiani, dobbiamo sfidare e cercare con ogni mezzo di cambiare. Basti pensare alla tratta, il terribile, degradante e crescente commercio di esseri umani; si pensi a intere nazioni paralizzate dal debito e sfruttate senza pietà; si pensi ai consorzi commerciali che, apertamente e occultamente, e al solo scopo di fare soldi, promuovono e coltivano le dipendenze da droghe e gioco d’azzardo, pornografia e alcol, e hanno sviluppato modi per tenere le persone in schiavitù. E che dire dei non nati, ai quali vengono sempre più spesso negati diritti e protezione legale? Quando i nostri Paesi sono stati evangelizzati, circa mille anni fa, abbiamo fatto un grande passo in avanti nella civiltà riconoscendo la dignità sovrana di ogni persona, una dignità che si ritiene abbia inizio nel grembo materno. La fede in un Dio incarnato che si è fatto uomo, “simile a noi in tutto tranne che nel peccato” (Quarta Preghiera Eucaristica), ha avuto un impatto profondo sulla nostra comprensione collettiva di ciò che significa essere umani. Più questa fede si ritira dalla vita pubblica, maggiore è la minaccia per la vita umana.
L’ideale che la Bibbia ci presenta non si realizza nel mondo in cui viviamo. È qualcosa che noi, come cristiani, dobbiamo sfidare e cercare con ogni mezzo di cambiare. Basti pensare alla tratta, il terribile, degradante e crescente commercio di esseri umani; si pensi a intere nazioni paralizzate dal debito e sfruttate senza pietà; si pensi ai consorzi commerciali che, apertamente e occultamente, e al solo scopo di fare soldi, promuovono e coltivano le dipendenze da droghe e gioco d’azzardo, pornografia e alcol, e hanno sviluppato modi per tenere le persone in schiavitù. E che dire dei non nati, ai quali vengono sempre più spesso negati diritti e protezione legale? Quando i nostri Paesi sono stati evangelizzati, circa mille anni fa, abbiamo fatto un grande passo in avanti nella civiltà riconoscendo la dignità sovrana di ogni persona, una dignità che si considera iniziare dalla nascita.
Quando ciò accade, ogni individuo è libero di considerare un altro essere umano come un suo schiavo. È una tendenza che siamo moralmente obbligati a contrastare in modo costruttivo e a sostenere un’antropologia* degna della nostra natura.
È una meravigliosa provvidenza che il prossimo Anno Giubilare, che ci chiama a costruire un mondo più giusto, coincida con il diciassettesimo centenario del Concilio di Nicea tenutosi nel 325. Nicea stabilì il credo che ancora oggi pronunciamo ogni domenica affermando la nostra fede nella Santissima Trinità, un solo Dio in tre persone; nell’incarnazione del Figlio di Dio, “luce della luce, vero Dio del vero Dio”; nell’opera redentrice e santificatrice di Gesù Cristo attraverso la sua nascita, il suo insegnamento, la sua morte, la sua risurrezione e la sua ascensione; e nella presenza trasformante tra noi e dentro di noi dello Spirito Santo, il Consolatore, che ha parlato attraverso i profeti e parla ancora a noi attraverso la Santa Chiesa.
Come vostri Vescovi, preghiamo affinché l’Anno giubilare porti un proficuo, fervente e intelligente approfondimento della fede nei nostri Paesi. Vi invitiamo a ritornare alle fonti del nostro credo studiando la Sacra Scrittura e il nostro meraviglioso Catechismo cattolico, per essere ancorati più profondamente al mistero della fede, per sperimentare cosa significhi vivere “in Cristo” (cfr. Gal 2,20) e per essere meglio equipaggiati e “preparati a rispondere a chiunque chieda notizie sulla vostra speranza” (1 Pt 3,15). Con questa preparazione, troveremo la forza e i mezzi per essere agenti del Giubileo, affinché attraverso di noi – come preghiamo ogni Venerdì Santo – il Signore “purifichi il mondo dall’errore, allevi le sofferenze, ponga fine alla fame, limiti l’oppressione, liberi i prigionieri, dia un passaggio sicuro ai viaggiatori, guarisca i malati e dia la salvezza a tutti i moribondi”.
Vi sosterremo in questo santo impegno con tutte le nostre forze, grati per la testimonianza di fedeltà, misericordia e generosità che si trova nelle diocesi che abbiamo il privilegio di servire.
Nella lettera di indizione dell’Anno Giubilare, pubblicata in occasione della festa della Madonna di Lourdes 2022, il Santo Padre ha espresso l’auspicio che il prossimo anno edifichi la Chiesa “affinché possa avanzare nella sua missione di portare a tutti il gioioso annuncio del Vangelo”.
A questo obiettivo diciamo con tutto il cuore: “Amen!”. Il motto dell’Anno giubilare è “Peregrinantes in spem” (Pellegrini della speranza). In altre parole, dobbiamo essere pellegrini in cammino dalla disperazione alla speranza. Mentre entriamo nuovamente nell’Avvento, ci meravigliamo della grazia che ci è stata data nell’incarnazione del Verbo, una grazia che rinnova il mondo. Che noi, come discepoli di Cristo possiamo testimoniare fedelmente questo rinnovamento attraverso un amore generoso, una comunione salda e una giustizia coraggiosa, illuminati dalla sorprendente bellezza della verità.
Pubblicato la prima domenica di Avvento 2024