XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (A) 9 novembre 2020
- On 8 november, 2020
LETTURE: Sap 6,12-16; Sal 62; 1 Ts 4,13-18; Mt 25,1-13
Non so se ricordate, che avevo letto questa notizia 8 anni fa, ed era una notizia curiosa. Si trattava di un reverendo americano di una certa chiesa evangelica il quale aveva predetto con assoluta certezza a partire dalla Bibbia che la fine del mondo sarebbe avvenuta il 21 ottobre 2012. La notizia suscitò qualche scetticismo, ovviamente, visto che i Maia avevano detto che la fine doveva essere, invece, il 21 dicembre 2012.
Qualcuno si dice, che per scaramanzia, aspettò a pagare una multa fino al 22, non si sa mai, disse!
È impressionante come continuamente qualcuno senta l’esigenza di stabilire una fine, oggi qualcuno prende il Covid come scusa, e magari predicando che addirittura una castigo di Dio, lo fa invocando rivelazioni private e segreti consegnati per la fine dei tempi.
Poco importa che il Signore abbia ripetuto molte volte che nessuno conosce il giorno e l’ora della sua venuta finale…
In queste ultime settimane dell’anno liturgico, in cui stiamo per salutare Matteo per incontrare il giovane Giovanni Marco, la Parola si concentra sul dopo, sull’altrove. La festa dei santi e la memoria dei defunti, appena celebrati, ci hanno aiutato, in questo percorso, ad imparare a non vivere alla giornata, ma a saper osare la speranza. Dopo il forte richiamo all’essenziale, l’amore, di due domeniche fa e l’amara riflessione sulla religiosità di facciata, oggi ancora parliamo di nozze. La parabola dello sposo ritardatario ha a
che fare con la venuta finale del Messia. Almeno secondo la versione di Matteo.
Nella sua versione la bella parabola nuziale ha però un non so che di lugubre. Il matrimonio in Israele avveniva per tappe e la prima fase prevedeva che lo sposo si dirigesse nella casa del futuro suocero per prendere in sposa la figlia. Ad accoglierlo vi erano tutte le ragazze del villaggio, le amiche della sposa, che lo conducevano ridendo verso la sua futura moglie e, nel caso l’evento si fosse svolto all’imbrunire, giungevano ad accompagnarlo munite di lampade ad olio. Fin qui nulla di strano: la parabola descrive questa usanza, ma probabilmente Matteo ha preso le parole dette da Gesù aggiungendone altre dette dal Maestro in altre occasioni, per forzarne il significato.
Visto che Israele nella Bibbia è chiamata la sposa, il significato della parabola udita dalle labbra di Gesù è evidente: nell’uditorio che si trova dinanzi alcuni sono come le vergini sagge ed altri come quelle stolte; alcuni, cioè, accolgono Gesù come sposo e Messia, altri no. Niente di originale, insomma.
Perché, allora, la versione di Matteo è così strana? Le vergini sagge sono delle gran egoiste, lo sposo è perlomeno strano ad arrivare di notte e pretendere di essere accolto, le vergini stolte sono piuttosto confuse andando a cercare dell’olio nel cuore della notte! Ma la cosa paradossale è la conclusione: Gesù invita a vegliare. Peccato che anche le vergine sagge si siano addormentate! Allora?
Matteo fa per la sua comunità quello che io sto facendo per voi: attualizza la Parola. Come emerge in filigrana nella lettera di Paolo, le comunità cristiane, euforiche, attendevano l’arrivo del Messia da un momento all’altro. Alcuni, addirittura, avevano smesso di lavorare!
Ma, visto che il Signore tardava, un parte dei discepoli tirava i remi in barca, lasciandosi andare. A loro, non più ad Israele, è rivolta questa dura parabola.
Noi cristiani, visto che il Signore è in ritardo, e lo è sempre di più, corriamo il rischio di farci delle solenni dormite. Il mondo va allo sfascio e noi, invece di insistere e di restare fedeli, cediamo alle lusinghe del mondo e diventiamo dei cristiani sonnecchianti.
Il rischio resta, lo vediamo bene. Comunità paralizzate dall’abitudine, che non solo non aspettano la venuta del Messia, ma che nemmeno si ricordano che deve arrivare!, vivono nel mondo completamente omologate alla logica mondana. La fede è ridotta a blanda appartenenza culturale e nessuno trasforma la propria vita in una profezia di un mondo nuovo.
Così dovrebbe/potrebbe essere la nostra comunità, la nostra Chiesa, fatta da persone semplici e modeste che sanno ancora tenere la lampada della speranza accesa in questo gran buio che ha avvolto il mondo. Speriamo.