II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (B)
- On 17 januari, 2021
LETTURE: 1 Sam 3,3b-10.19; Sal 39; 1 Cor 6,13c-15a.17-20; Gv 1,35-42
Le letture di oggi ci parlano in modo abbastanza chiaro della vocazione. Esse vengono spesse utilizzate per parlare della vocazione particolare al sacerdozio e alla vita religiosa, per descrivere come si diventa preti e suore.
Ma vorrei ricordare oggi, che in virtù del Battesimo, tutti noi cristiani siamo chiamati personalmente da Dio. La vocazione battesimale precede e alimenta tutte le possibili vocazioni particolari nella Chiesa. E noi sappiamo che la vocazione battesimale è triplice, una chiamata a diventare re, sacerdoti e profeti: “Anche voi venite impiegati come pietre vive, per un sacerdozio santo, per proclamare le opere meravigliose di Dio“ (Cfr 1 Pt 2).
Prendete la I lettura: nell’episodio di Samuele si vede bene la vocazione profetica: essere inviato a parlare in nome di Dio, ad annunciare la sua verità senza paura, consapevoli che Lui è con noi sempre e ci sostiene, nonostante i limiti e la debolezza. Essere profeti significa avere il coraggio di parlare davanti, con franchezza e coraggio. L’episodio odierno si conclude con le parole: “Tutto Israele, da Dan fino a Bersabea, seppe che Samuele era stato costituito profeta del Signore”. E questo vale anche per noi: nel Battesimo siamo stati costituiti profeti, come Samuele, per proclamare le opere di Dio. Nella seconda lettura abbiamo sentito la chiamata sacerdotale: “Glorificate Dio nel vostro corpo!”. Ciascuno di noi, non soltanto i preti ordinati, è un sacerdote. È cioè chiamato a offrire sacrifici a Dio, a rendere sacre le cose, mediante l’offerta a Dio. Una cosa la faccio sacra (sacri-ficio) quando la dono a Dio. Possiamo fare sacrificio di una candela, accesa davanti all’altare. Possiamo fare sacrificio delle sigarette. Ma l’atto supremo del sacerdozio, per tutti i battezzati, è il sacrificio di se stessi, del proprio corpo, della propria persona. E questa chiamata alla santità e al sacerdozio è per tutti noi, non soltanto per i preti e le suore.
Infine c’è la chiamata regale: Dio ci dona una consacrazione da re. Non siamo più schiavi, né sotto il dominio di altri o di potenze esterne. Siamo figli del Re e costituiti in autorità, su noi stessi e su ciò che ci circonda. Dio non ci ha chiamati ad essere schiavi delle cose, né delle passioni, né delle persone, né delle paure. Lo vediamo bene nel Vangelo odierno: “Simone, ti costituisco Pietro” dice Gesù. Ti do l’autorità. Non sarai più l’incerto Simone (una radice ebraica che può significare “Dio ci ha ascoltato” e infatti veniva imposto ai bambini attesi per molto tempo nell’incertezza, in allusione alle preghiere dei genitori che desideravano avere dei figli), ma kephas, cioè “sasso quadrato”, sicurezza. Sarai una roccia. Anche questa chiamata, è per tutti noi, battezzati in Cristo. Dio ci vuole stabili.
All’inizio di questa celebrazione abbiamo pregato ricordando che Dio “rivela i segni della sua presenza nella Chiesa, nella liturgia e nei fratelli” e abbiamo chiesto di poter riconoscere la sua chiamata nella nostra vita.
Sappiamo che Gesù è nella Chiesa, quando “due o tre sono riuniti nel suo nome” (Mt 18, 20), lo riconosciamo presente nei sacramenti e nella liturgia (“Fate questo in memoria di me”) e quando facciamo qualcosa di buono ai fratelli, ricordando la sua promessa: “Lo avete fatto a me” (Mt 25,40).
Oggi, la Parola ci ricorda che esiste un altro modo in cui Dio è presente nei fratelli: quando li usa per discernere la sua chiamata. Questo ruolo di mediazione viene evidenziato bene nelle letture: il vecchio sacerdote Eli guida Samuele a riconoscere la chiamata di Dio, il Battista guida Andrea a riconoscere in Gesù l’Agnello, Andrea guida suo fratello Pietro a scoprire il Messia, Pietro guiderà altri. Così Dio è presente nei fratelli, che diventano strumenti della sua volontà.
Ma non è facile. Occorre umiltà e fede per lasciarsi guidare da qualcuno, come anche per riconoscere nella Chiesa, con tutti i suoi limiti e difetti, i segni della presenza attiva di Dio.
Pochi giorni fa abbiamo ricordato come i Magi stessi, trovarono il Messia soltanto grazie alle indicazioni dei sacerdoti a Gerusalemme. Chissà se ce l’avrebbero fatta da soli, con la stella e basta.
Sappiamo dalla Bibbia che Eli non era un prete impeccabile, che il clero di Gerusalemme aveva le sue pecche e che Pietro certamente non era perfetto: ma Dio “rivela i segni della sua presenza nella Chiesa, nella liturgia e nei fratelli”. E ci chiede di interrogarci, oggi, sulla nostra fede e apertura di cuore. Che chiamata possiamo scoprire, da soli?
Infine possiamo osservare una bella gradualità di intimità nelle letture di oggi. Nell’episodio di Samuele si dice che, nella notte, il Signore lo avvicinò e “stette di nuovo accanto a lui”. Nel Vangelo gli Apostoli “quel giorno stettero presso Gesù”. Nella prima lettera ai Corinti si afferma che, dopo la risurrezione di Gesù, lo Spirito sta sempre nei nostri corpi e li trasforma in tempio di Dio.
Stare accanto, vicinnza comwe spesso ci ripete Papa Francesco, stare presso, stare in. Stare una volta, stare una giornata intera, stare sempre. C’è una progressione di intimità e di durata.
E anche a noi battezzati accade qualcosa di simile. All’inizio siamo come Samuele che, “fino ad allora non aveva ancora conosciuto il Signore” e viviamo l’esperienza della scoperta e della novità: ci accorgiamo che Dio è qualcuno che talvolta ci sta misteriosamente accanto nel cammino della vita, ma non sappiamo bene che risposta dargli. Non sappiamo bene che volto dargli.
Poi, con il tempo, possiamo stare presso di lui e diventare più familiari. Conosciamo Gesù Cristo, trascorriamo del tempo con lui e approfondiamo la conoscenza, come si fa con un amico. Dio acquista un volto preciso, un volto umano e una voce.
Finché diventiamo consapevoli che la presenza di Dio in noi non è come quella di un ospite di passaggio, ma sostanziale: le sua membra siamo noi, la nostra persona è il suo tempio.
Non per un’ora o un pomeriggio, ma sempre. La chiamata dei cristiani diventa esigente. La vita intera diventa una vocazione.