XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINAIO (B)
- On 10 oktober, 2021
Il Signore ci interpella per dare una risposta con la nostra vita alla sua chiamata. Tutta la nostra attenzione, tutto il nostro cuore devono essere aperti, perché Dio possa agire. Egli vuole darci la sola cosa che ci manca: il tesoro della sua sapienza, della sua Parola e della sua presenza. Lasciamo che la sua Parola di verità illumini il nostro cuore e ci renda consapevoli del nostro peccato.
Fra voi non sia così”: è il tema che ricorre in queste ultime settimane dell’anno di Marco e che ci invita a riflettere sul nostro modo di essere Chiesa.
Il Signore ha descritto bene l’atteggiamento naturale, spontaneo che abbiamo rispetto ad alcuni temi spinosi: il potere (”Chi è il più grande?”), la diversità (”Non è dei nostri”), l’affettività (”È lecito ripudiare la propria moglie?”) ed invita i discepoli a ragionare e vivere in maniera radicalmente diversa.
Se è normale agire istintivamente, è evangelico scegliere di orientare le proprie scelte alla luce degli insegnamenti di Gesù.
Quella che il Nazareno chiede non è un’opprimente cappa moralistica ma, piuttosto, lo svelamento di una (bella) possibilità di vita alternativa che portiamo nel cuore.
Oggi – ci mancava! – dobbiamo parlare del tema del denaro e del possesso.
Tema delicato perché – come l’affettività – affonda le sue radici in esperienze e desideri radicati nell’inconscio. Cosa pensa il mondo della ricchezza? Senza cadere nel populismo o nel moralismo possiamo affermare con crudezza e realismo che in questo terzo millennio a comandare ogni scelta, a orientarla, è ormai l’economia.
Crollata l’epoca delle ideologie che hanno caratterizzato il secolo scorso, siamo rimasti con un pugno di mosche in mano e la teoria del turbo-capitalismo, del liberalismo assoluto, della globalizzazione portatrice di benessere per l’umanità è proposta – de facto – come l’unica (l’ultima?) ideologia imperante. L’economia gestisce il potere e le scelte, anche nel nostro piccolo mondo.
Se siete come me, cittadini senza grandi passioni per borsa e vicende del genere, siete però consapevoli di come l’aspetto economico sia diventato determinante nella nostra vita quotidiana e l’ipotetico e mai raggiunto livello di benessere, in realtà, condizioni la nostra vita in maniera assurda. Occorre lavorare per produrre per guadagnare e comperare cose (spesso inutili) per tenere in piedi un’economia gonfiata.
E questo messaggio passa, (dis)educa, è sufficiente sentire i nostri ragazzi adolescenti o delle superiori: il lavoro che vogliono è – anzitutto – un lavoro che renda, il resto viene dopo.
Qui e ora siamo chiamati a vivere, questo è il tempo in cui siamo piantati: per mantenerci dobbiamo lavorare in due in famiglia, per comperare un alloggio popolare occorre contrarre un mutuo di vent’anni (!) molti anziani, dopo una vita passata a lavorare, faticano ad arrivare alla fine del mese.
Non ho mai conosciuto nessuno che mi dicesse: io vivo per far soldi. Ma, allora, da dove vengono tutte le liti furibonde per questioni di eredità? Amicizie definitivamente affossate per un prestito mai restituito? Dobbiamo ammetterlo: il possesso fa parte della nostra natura, l’accumulo ci è connaturale, la soddisfazione dei bisogni – veri o presunti che siano – muove la nostra vita. E chi vende lo sa bene.
E Gesù cosa dice?
Gesù non condanna tout court la ricchezza, né esalta la povertà.
Lo dico perché spesso noi cattolici scivoliamo nel moralismo criticando i soldi (degli altri) e invitando a generosità (sempre gli altri). Gesù ama il giovane ricco, lo guarda con tenerezza, vede in lui una grande forza e la possibilità di crescere nella fede. Gli chiede di liberarsi di tutto per avere di più, di fare il miglior investimento della sua vita. Gesù frequenta persone ricche e persone povere, è libero.
Ma ammonisce noi, suoi discepoli: la ricchezza è pericolosa perché promette ciò che non può in alcun modo mantenere. (Mi impressiona parlare con amici ”realizzati”: splendido e redditizio lavoro, benefit a non finire, ambienti di qualità, per poi scoprire in loro le stesse ansie e le stesse preoccupazioni di chiunque.)
Dunque, dice Gesù, la ricchezza può ingannare, può far fallire miseramente una vita, la pienezza è altrove, non nella fugace emozione di avere realizzato il sogno di possedere il giocattolo prezioso cui anelo. Ma la povertà non è auspicabile, la miseria non avvicina a Dio ma precipita nella disperazione.
Perciò il Signore ci chiede di avere un cuore libero e solidale: la povertà è scelta dai discepoli perché ci è insopportabile vedere un fratello nella miseria, tutto lì.
Ancora una volta il Signore ci chiede di essere diversi, il ”fra voi non sia così” che è caratterizzato, in questo caso, dalla scelta della condivisione e della essenzialità, del soccorrere le povertà e accontentarsi mantenendosi nell’essenzialità, senza finire nella spirale della cupidigia.
Elemosina, condivisione, dono, sono ancora i protagonisti di una sana vita da discepolo, senza affannarsi dell’accumulo ma coscienziosamente affidandosi a quel Dio che veste splendidamente l’erba del campo.
E questa logica deve permeare anche i rapporti nelle comunità, i soldi delle comunità che servono all’annuncio del vangelo senza fumosità, senza ambiguità. Se facciamo parte di una comunità manteniamola anche economicamente, chiediamo e offriamo trasparenza, orientiamo le nostre scelte a servizio dell’annuncio.
Che tra noi, nelle nostre chiese, nelle nostre scelte, prevalga sempre la generosità e la fiducia nella Provvidenza al calcolo che appanna la libertà che dobbiamo tenere nei confronti del possesso.
Facciamoci dono, facciamo della nostra vita un dono e avremo – stupore – cento volte tanto, come sperimenta Pietro.