XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (A) 25 OTTOBRE 2020
- On 25 oktober, 2020
LETTURE: Es 22,20-26; Sal 17; 1 Ts 1,5c-10; Mt 22,34-40
“Maestro, qual è il più grande comandamento?” E’ l’ultima domanda rivolta a Gesù nei cortili del Tempio, i luoghi ora occupati dalla spianata del Tempio, dove oggi sorgono le moschee, dove Erode aveva abbellito l’antico luogo in cui il Dio che è al di sopra di ogni luogo aveva posto il Luogo concreto della sua presenza.
Da quel momento nessuno oserà più interrogarlo (Mt 22, 46). Sarà Gesù stesso a chiedere, a domandare, affermando di essere Signore, il Signore. Sarà lui a rimproverare e a chiedere conto. Già in questo rovesciamento è la salvezza. Andare a Gesù non per coglierlo in fallo, ma per divenire discepoli.
Sappiamo quanto differiscono le domande che poniamo, che ci pongono. Ci sono domande poste in ascensore, nell’imbarazzo che cerca di riempire silenzi. Ci sono domande volte a sapere particolari di storie da piccoli pettegolezzi. Ci sono domande che sempre si pongono a chi è uomo di Chiesa senza in realtà aspettarsi mai una risposta su cui crescere. Ci sono, invece, domande poste per divenire discepoli: “Alla tua risposta lego la mia vita. Se mi chiarisci questo punto, eccomi con te”. Questo è ancora più rilevante dinanzi a Gesù. I capitoli 21, 12 – 23 sono chiaramente una unità e questo deve essere sottolineato. Gesù è il maestro del Tempio, perché è il Figlio inviato dal Padre. Chi cerca Dio è a lui che deve andare. Gesù deve e può insegnare nel Tempio, nel luogo di Dio, perché è l’unico che rivela il volto di Dio. Ciò che
salva non è di per sé “la religione”, “la preghiera”, “la spiritualità”.
In un nuovo periodo gnostico della storia (la New Age) la presenza di Gesù nel Tempio annuncia che anche il rapporto a Dio è macchiato dal peccato originale. La pretesa del cristianesimo è quella di discernere fin dentro le forme religiose, per giungere, attraverso il Figlio, alla misericordia del Padre.
La risposta di Gesù (che è allora appello e domanda) riprende i testi del Deuteronomio e del Levitico sull’amore verso Dio e verso il prossimo. Probabilmente sono inutili le infinite discussioni se la novità stia nel collegare i comandamenti, nell’unificare in essi la Legge o in altro. E’ lo stesso Dio che pian piano, nella storia della salvezza, ha guidato il suo popolo a comprendere la sintesi e l’unità, senza le quali non si può vivere, fino alla sintesi suprema, all’unità: il mistero che solo per rivelazione potevamo conoscere: l’incarnazione del Figlio.
“Carissimi, non vi scrivo un nuovo comandamento, ma un comandamento antico, che avete ricevuto fin da principio. Il comandamento antico è la parola che avete udito. E tuttavia è un comandamento nuovo quello di cui vi scrivo, il che è vero in lui e in voi, perché le tenebre stanno diradandosi e la vera luce già risplende”. (1 Gv 2, 7-8). ¨
E’ la luce vera, Cristo, che già risplende e trasfigura la creazione. Essa permette e dona uno sguardo diverso sul vivere degli uomini. Spesso si usa l’espressione, che può risultare ambigua, “amare l’altro per amore di Dio”. Essa può nascondere un profondo disprezzo per l’esistenza altrui. “L’altro è così infido che solo per amore di Dio posso stargli accanto!”
Si può invece amare l’altro perché Dio lo ha amato, perché lo si guarda con lo stesso sguardo di Dio. Dio ha dato bellezza nel creare ogni essere umano e conosce la sua opera. Dio ha riportato bellezza nel salvare.
Amare è cogliere quest’opera di Dio. Jean Vanier è maestro nei nostri tempi della differenza cristiana fra generosità e comunione. “La comunione è molto diversa dalla generosità. La generosità è fare delle cose buone, essere generosi, fare delle cose per le persone, ma senza mai avere il tempo per ricevere dagli altri…Accogliere le persone che hanno sofferto e dire loro attraverso gli occhi, i gesti, la parola: “Sono contento che tu esista”. Perché questa è la Buona Novella: “Sono felice che tu esista”.