I DOMENICA DI AVVENTO (B)
- On 3 december, 2023
L’umanità ha sempre bisogno di sperare, e oggi ne sentiamo l’esigenza in modo del tutto particolare. Non si possono dimenticare le profetiche parole del Concilio Vaticano II: «Il mondo si presenta oggi potente a un tempo e debole, capace di operare il meglio e il peggio, mentre gli si apre dinanzi la strada della libertà o della schiavitù, del progresso o del regresso, della fraternità o dell’odio» (GS 9). La Liturgia però ci sollecita anche a «rendere ragione della nostra speranza» diventando coraggiosi testimoni della fede: in un mondo confuso e disorientato, indifferente e facile preda di fanatismi, siamo chiamati a dire con franchezza, con le parole e con le opere, la radice di quella fede da cui nasce anche la nostra speranza.
Oggi in tutte le parrocchia della diocesi viene raccolta la offerta di Avvento, quest’anno destinata alle popolazione abitanti il corno d’Africa e succubi di carestia e siccità.
Il mondo non sta precipitando nel baratro, ma nell’abbraccio di un padre/madre di infinita tenerezza.
E non stiamo assistendo alla fine del mondo ma ci stiamo interrogando sul fine del mondo, sul senso che appare travagliato e oscuro dell’agire distruttivo degli uomini.
Uomini persi che non ammettono di essere persi, che vanno dell’arroganza e della violenza il proprio metro di giudizio. Così, con felice ostinazione, inizia questo anno nuovo in compagnia di Marco. Un piccolo cammino di quattro settimane per prepararsi al Natale. All’ennesimo. Che per molti sarà una felice bolla di buoni sentimenti a acquisti per dimenticare l’insostenibile realtà, per addolcire la saturazione di male notizie e di drammi che logora e svilisce
Ma noi, ma tu, ma io, non siamo della notte.
Vegliamo con le lampade accese, attendiamo lo Sposo e, qui e ora. Non siamo qui a far finta che poi Gesù nasce.
È venuto nella storia, tornerà nella gloria. Questo ci hanno detto gli apostoli e chi, dopo di loro, hanno costruito speranza. E ora, quest’anno, ancora, qui, viene nel cuore di ciascuno di noi, se lo vogliamo. Perché la fede non è evento definitivo, acquisito per sempre, ma è costante alleanza, patto da rinnovare, amicizia da coltivare.
Sarà un avvento diverso, perché io non sono più quello dello scorso anno. E ferite e gioie hanno segnato questo tempo. E guerre e paure ancora mi scuotono.
Sarà, per chi lo vorrà, occasione per prendere ancora in mano il timone della barca della propria vita, prendendo il largo. Sarà l’occasione per attendere. Per far nascere la speranza nei cuori, per innamorarsi della vita che ha avuto l’onore di vedere Dio diventare uno di noi.
Oggi, qui, in questo momento in cui tutto viene rimescolato, messo in discussione, amplificato. Nel mondo straziato e nella Chiesa che sfida le onde.
Bella storia. Bella Storia. Una Storia che è salvezza. Sarà un avvento di attesa.
Di senso, di salvezza, di bene, di pace, di abbracci sinceri, di rispetto. Di Dio. Ma ad una condizione: quella di restare svegli.
La parabola di oggi è di immediata comprensione: il padrone di casa, il Signore Gesù, è assente ma tornerà nella gloria. In questo tempo di mezzo, fra la storia e la gloria, affida a noi, suoi servi, il compito di vigilare, di costruire brandelli di Regno, di annunciare la sua venuta.
Una venuta che, come meglio bisognerebbe tradurre, non avviene alla fine della notte, ma continuamente. Lo aspettiamo nella gloria, il Cristo, ma anche nella vita di ciascuno di noi, qui, ora, oggi.
Ai servi è affidato ogni potere: a queste fragili e sudicie mani il Signore affida il suo Vangelo. Come un tesoro custodito in vasi creta.
E ai portinai, a coloro, cioè, che hanno maggiori responsabilità, quella di aprire la casa, la Chiesa, la comunità.
Quanto è terribile vedere portinai ignavi, impigriti, imborghesiti, sedersi al posto del padrone! Quanto è bello, pur con fatica, vedere una Chiesa che si interroga su come rimanere fedele a Cristo! Quanto scandalo suscitiamo quando dimentichiamo chi siamo veramente! Servi inutili.
E poi c’è chi attende un aiuto. Come i deportati in Babilonia.
Se tu squarciassi il cielo e scendessi!
Il lamento straziante sale dalla bocca di uno degli autori del libro del profeta Isaia, in esilio dopo la durissima sconfitta contro Nabucodonosor. Nessuna speranza all’orizzonte, nessuna possibilità di riscatto, solo l’amarezza dell’esilio e della schiavitù. Tutto è perduto. Solo sale quell’invocazione fatta quasi sottovoce, una immensa ricerca di salvezza, un grido silente. Se tu squarciassi il cielo e scendessi!
Un grido che ancora sale da questa terra d’esilio in cui siamo. Un grido di avvento mentre ci prepariamo a celebrare la nascita di Cristo in ciascuno di noi, nell’attesa del suo ritorno definitivo.
Come restare desti? Come nutrire la nostra anima? Nell’orto degli ulivi, ai discepoli oppressi dal sonno e dalla tristezza, Gesù chiede di pregare. Una preghiera che è intimo dialogo col Padre, che è relazione fiduciosa ed appassionata con lui, che è nutrimento dell’anima nel silenzio della lettura orante della Parola di Dio.
Ciò che cercheremo di fare in questo ennesimo avvento, in questo breve tempo in cui cercheremo di sostenerci a vicenda, incoraggiandoci, restando svegli.
Perché, purtroppo, anche lo stravolgimento di senso che abbiamo operato nei confronti del Natale rischia di essere un anestetico. Mortale.
E nella preghiera, come un mantra, ripetiamo quanto abbiamo udito dalla Parola:
Mai si udì parlare da tempi lontani, orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui.
Vegliamo allora, noi, che aspettiamo la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo. Ci siamo scoperti amati, e l’amato attende l’amante. Ogni giorno. Vegliamo! Con gioia.