VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (B)
- On 14 februari, 2021
LETTURE: Lv 13,1-2.45-46; Sal 31; 1 Cor 10,31-11,1; Mc 1,40-45
Cari fratelli e sorelle,
solo qualche giorno fa nella festa della Madonna di Lourdes, abbiamo celebrato la XXIX Giornata mondiale del malato, Papa Francesco sottolineava nel suo messaggio che “una società è tanto più umana tanto più sa prendersi cura dei suoi membri fragili e sofferenti, e sa farlo con efficenza animata da amore fraterno”. E nel Vangelo di questa domenica, che ci parla del lebbroso guarito, Gesù: “mosso a compassione, stese la mano, lo toccò”. E nel bel mezzo di questi messaggi ci accorgiamo che è carnevale, (che non significa solo maschere ma anche le frittelle, chiacchere, frappe, castagnole,zeppole, girelle, e potremmo elencare chissà che altro di tutte queste leccornie, ieri era il sabato grasso e abbiamo ancora il martedì grasso, non scordatevelo, mercoledi poi inizia la Quaresima con Le Ceneri, tempo di riflessione, di digiuno e di conversione; e sono tanti gli strumenti di cui disponiamo per aiutarci a vivere i giorni della Quaresima, utilizzando testi cartacei o pubblicati on line. La Parola del giorno, la Liturgia delle ore, la carità gentile e gratuita, il digiuno e l’astinenza, il riconoscimento dei peccati e il perdono, sono le strade che da sempre ci permettono di andare al cuore della fede, anche quando non è possibile celebrare l’Eucaristia. Se al tempo di Gesù era molto frequente la presenza della lebbra, oggi c’è un virus di cui tutti parlano e presente da parecchio tempo in mezzo a noi, chiamato Covid-19. E poi ci sono le sue conseguenze, l’allarme, le cautele, persino le isterie. E però c’è un’altra cosa, e non ne parla nessuno. Una conseguenza quasi invisibile: come lui, il maledetto. Ma io l’ho vista. È la gentilezza. Anche lei, se così si può dire, una conseguenza del virus.
Appare e scompare rapida, in gesti quasi impercettibili. Una attenzione verso qualcuno che sta entrando, un sorriso cortese in più, una sfumatura di cura. Soprattutto verso quelli che sentiamo più esposti. Insomma, piccoli gesti o atteggiamenti che portano scritto addosso, come un tatuaggio invisibile, “ eh, ci tocca vivere questa situazione, almeno trattiamoci bene tra noi” o qualcosa del genere. E allora si tiene una porta aperta per chi sta uscendo dopo di noi, si bada un attimo se la signora anziana non ha difficoltà a scendere il gradino. Come se lo tsunami di senso di fragilità che ha investito il mondo avesse ridestato – insieme a molte cose più superficiali – anche qualcosa di profondo, di propriamente nostro e nascosto. Quella gentilezza che segnala come primo fiore tremante sul ramo di acerba primavera la nostra natura cosa sia.
Orrore, sì, ma anche propensione all’aiuto reciproco. Un segno fragile ma incancellabile. Di sorriso all’essere dell’altro. Qualcosa di discreto, che se ne sta spesso e volentieri nascosto, che insomma ci sta depositato dentro come un segreto. Una specie di anima che viene ridestata – e a volte ci vogliono dei veri tsunami perché succeda. Ma quando accade, se si hanno gli occhi per vederla, per notarne le mosse rapide e semplici, è lo spettacolo più bello e meno scontato tra tutte le scene che si vedono in casi come questi. E di scene ne abbiamo viste in questi lunghi mesi! Ma da dove viene questa altra cosa, la gentilezza? Che tesoro è? La gentilezza viene da una disposizione interiore, da qualcosa che è naturale in noi ma se non lo coltivi diminuisce, si sclerotizza, muore. I poeti sapevano che la gentilezza coincide con un vivo senso del destino, cioè si è gentili quando ami e tratti bene qualcosa o qualcuno che non è tuo. Come quando guardi tuo figlio
e tremi, vedi scritto in modo invisibile sul suo viso: non è tuo, è del Destino. E anche sul viso della donna o dell’uomo che ami. E mai è tuo possesso. Così quando succedono certi fatti è come se quella scritta ce la vedessimo addosso un po’ tutti. Quando il Destino fa un segno, allora in chi ce l’ha dentro coltivata la gentilezza emerge.
Sono sicuro che ce n’è in tutti. O quasi. C’è da tremare a pensare che secoli di cultura, di formazione religiosa, spirituale potrebbero non aver lasciato almeno un grano di tale dote. O che magari se ne abbia ancora qualche traccia senza sapere però bene cosa sia né da dove venga questa cosa bella che illumina i giorni dell’ansia. Intanto però lei, la gentilezza un po’ nascosta, si mostra in queste ore e in popolazioni che di solito vengono dipinte come rudi e un po’ rapaci. Una gentilezza che ha accenti diversi ma occhi simili.
C’è una gentilezza veneta, una lombarda, romana e sicialiana. Si potrebbe dire che insegue e fronteggia il virus, e quelle conseguenze peggiori. Opponendosi lei, che sembra invisibile tra tutte le news e le analisi, alla possibile disgregazione del Paese. La gentilezza italiana salverà l’Italia, i poeti lo han sempre saputo. Ma ora va detto forte.
Questa è la buona notizia, e chi ne è toccato e la sperimenta sulla propria pelle non può trattenersi; come il lebbroso guarito, egli deve dirlo a tutti, deve proclamare e divulgare le grandi cose che Dio ha fatto con lui.
Così dovremmo essere noi, dopo aver incontrato la gentilezza.